Una volta, durante l'ascolto di un bambino (di circa otto anni), del quale ero stata nominata Curatore speciale, presentandomi, gli dissi "io sono il tuo avvocato. Ora tu hai un avvocato tutto tuo, non quello di mamma, nè quello di papà". Il Bimbo ricambiò con una stupenda espressione di meraviglia, come se avesse aperto una scatola sotto l'albero di natale.
Al che, rincuorata per "l'accoglienza", gli chiesi: "Sai chi è un avvocato?"... e lui, deciso: "Sì, certo, è quello che ti aiuta e dice che non sei stato tu!"
In poche parole tutto il significato di un ruolo, di una professione: quello che ti aiuta.
Ma a chi chiedere aiuto? Chi è l'avvocato giusto? Potrà essere come il "testimone consapevole" (Alice Miller) che ti crede e ti sostiene? Avrà le competenze e soprattutto la capacità di entrare in empatia?
A volte penso che l'avvocato (che si occupa del diritto di famiglia) cura l'anima, come il medico cura il corpo, perchè prima di tutto deve essere in grado di accogliere, e curare, con la sua sicurezza, le incertezze, i timori e le ansie di chi si mette nelle sue mani. L'assistito (non "cliente") ha bisogno di trovare un compagno, oltre che un tecnico, che lo aiuti a portare il carico dei pensieri e frustrazioni che derivano da questi eventi, e trovare una soluzione che lo sollevi dal dover fare in prima persona.
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