Consenso e ripensamento all’atto sessuale
Da NERO SU BIANCO 18/2007
Cose da… TRIBUNALI!
Potrebbe capitare anche a noi…
…prestare consenso ad un atto sessuale e poi ripensarci.
Certo è difficile che capiti ad un uomo, e forse è poco frequente che capiti ad una donna, ma è avvenuto e la questione è diventata un caso giudiziario che circa poco più di un anno fa destò molto scalpore. Molti giornali riportarono la decisione della Suprema Corte (III sez. pen. Sent. n. 24061/06) commentando con disappunto: “Il consenso sessuale non può essere revocato”
Un ragazzo ventenne di Latina era stato condannato in primo e secondo grado per violenza sessuale ai danni di una sedicenne. L’imputato ricorreva per cassazione lamentando l’erronea ricostruzione dei fatti e l’inattendibilità della minore. Si richiamava l’attenzione dei giudici sul fatto che indossando la ragazza un paio di jeans era estremamente difficoltoso toglierli alla vittima senza il suo consenso. Dunque questo particolare doveva far presumente un consenso almeno iniziale avvalorato dal fatto che dagli atti di causa emergeva che la ragazza si sarebbe decisamente opposta nel momento in cui aveva iniziato a sentire forti dolori (dunque prima no), derivanti dal fatto che si trattava del suo primo rapporto. A ciò si aggiunge che la vittima il giorno successivo aveva accettato di uscire di nuovo in auto con l’imputato, nella convinzione che questi volesse chiederle scusa. Dunque secondo i giudici di Cassazione il dissenso successivo poteva non essere stato percepito dall’aggressore e l’atto era lecito perché introdotto col consenso.
Inevitabile chiedersi se questi tecnici del diritto che giudicano la legittimità di una sentenza, studiandone i “difetti di logica e coerenza col diritto” sarebbero così compiti se la cosa riguardasse una loro figlia. Direbbero comunque che se c’è consenso iniziale non c’è violenza? Dimenticherebbero che c’è una legge che tutela addirittura il diritto di ripensamento dei consumatori (l’ironia viene in mente) al punto che dopo aver firmato un contratto possono chiederne la cessazione degli effetti e svincolarsi dal consenso reso?
Perché i meccanismi della giustizia talvolta sembrano così lontani dalla realtà? Questa sensazione è ancora più sentita quando compariamo il caso precedente con un’altra sentenza della cassazione (III sez. pen. Sent. n. 8417/03) che per “atti sessuali” conferma la condanna a 14 mesi di reclusione ad un signore che aveva chiamato una ragazza che transitava per strada a bordo del suo ciclomotore, l’aveva invitata a spegnere il motore, le aveva rivolto alcuni apprezzamenti, mettendole nel contempo addosso del profumo che aveva con se in un campioncino e infine le aveva accarezzato i polsi e una guancia su cui aveva dato due baci. Qui i giudici sentenziano che “atti sessuali sono tutti quegli atti che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità del soggetto passivo e a entrare nella sua sfera sessuale, precisando che il riferimento al sesso comporta un rapporto corpore corpori che non deve necessariamente limitarsi agli organi genitali, ma comprende anche le zone cosiddette erogene”.
Che forte senso di tutela della persona spinge questi interpreti della legge ad aggiungere nell’elenco delle zone erogene - che fin ora vedeva guance, piede e collo - anche i polsi? E che accentuato valore della vincolatività del consenso hanno i loro colleghi che giungono a sostenere che una volta che si è acconsentito ad avere un rapporto sessuale si deve subire perché “non è lecito cambiare idea?
Questa è la giustizia… insomma “ci siamo sempre incontriamoci mai”… per richiamare una efficace trovata pubblicitaria!