Responsabilità dell’avvocato;
Da NERO SU BIANCO 9/2006
Cose da… TRIBUNALI!
Potrebbe capitare anche a noi…
di “citare” il nostro avvocato perché ci ha fatto perdere la causa!!!
La signora A. citava in giudizio il suo (ex) avvocato affinché fosse accertata la responsabilità del professionista in relazione al patrocinio dello stesso in una controversia di opposizione (a precetto) nell’ambito di una procedura di espropriazione immobiliare promossa contro la signora A.. Il Tribunale di Monza con sent. del 8.10.99 accertava la responsabilità del professionista e lo condannava al pagamento delle spese di giudizio, ma rigettava la richiesta di risarcimento del danno per mancanza di prove. La signora A. – che doveva proprio essere “arrabbiata” – proponeva appello avverso questa sentenza individuando il danno nella soccombenza nella procedura esecutiva e quantificandolo in £ 184.720.674.
La Corte D’Appello di Milano con sent. del 18.05.01 confermava la sentenza del tribunale e rigettava la richiesta della condanna alle spese di giudizio sull’assunto che “il cliente che chiede il ristoro dei danni subiti, per negligenza nell’espletamento dell’incarico, deve produrre documenti o articolare prove idonee a fornire una ragionevole certezza dell’erroneità della sentenza di primo grado e l’accoglimento del gravame che conseguentemente avrebbe potuto essere proposto … non essendo sufficiente, per la condanna risarcitoria, la prova di un comportamento colposo astrattamente idoneo ad arrecare danni, ma essendo necessaria la dimostrazione che in concreto i danni lamentati si siano effettivamente verificati.”. La corte, continuando su questo tono, precisa ancora che la prova del danno non può essere identificata con l’esborso che la cliente ebbe ad affrontare per evitare la vendita all’asta del proprio bene e neppure si può ricorrere alla liquidazione del danno per via equitativa che è concessa solo quando vi sia impossibilità di determinare il danno nel suo ammontare e non anche quando manca la prova dell’esistenza stessa del danno.
La signora A. non si arrende e ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che non le aveva dato soddisfazione.
La cassazione con la sent. n. 16846 dell’11 agosto 2005 stabilisce che l’avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi degli artt. 2236 e 1176 cod. civ., in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui per negligenza o imperizia compromette il buon esito del giudizio, mentre nelle ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità, a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave (Cass. N. 11612/1990). Pertanto, l'inadempimento del suddetto professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione da parte del professionista stesso del dovere di diligenza inerente ed adeguato alla natura dell'attività esercitata, ragion per cui l'affermazione della sua responsabilità implica l'indagine - positivamente svolta sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l'onere di fornire - circa il sicuro e chiaro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo.
La prestazione del professionista è di mezzo non di risultato: l’avvocato si impegna a fare processualmente tutto il necessario per ottenere il provvedimento, non si impegna – né può farlo – a procurare al suo cliente un provvedimento favorevole però sarebbe inadempiente rispetto al mandato se non adoperasse la diligenza adeguata alla natura dell’attività.
Il cliente però, che intende dimostrare la responsabilità del professionista deve dare prova che l’avvocato avrebbe dovuto esperire una certa azione e fornire “la certezza morale che gli effetti di una diversa attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente (Cass. nn. 5364/77 e 1831/77).
Alla fine possiamo dire: è possibile che si dimostri la negligenza del proprio avvocato ma è più difficile che si dimostri il danno prodotto da tale negligenza!