articoli sociali
Foro del consumatore
Da NERO SU BIANCO 20/2006
Cose da… TRIBUNALI!
Potrebbe capitare anche a noi…
… di dover andare a far causa a Milano perché non vogliamo l’enciclopedia.
sottoscrivere un contratto predisposto con riserva di foro esclusivo.
A chi non è mai capitato di imbattersi in agenti, procacciatori e venditori che propongono acquisti di tutto, dalle enciclopedie al servizio di pentole? Di solito viene richiesta la firma in calce a contratti predisposti dove tra le ultime clausole - scritte con carattere microscopico a prova della migliore vista – c’è una riserva di foro esclusivo. Con questa clausola le aziende richiedono al consumatore di accettare che in caso di lite la competenza del processo sarà di un Tribunale così lontano da casa propria tanto da scoraggiarne il ricorso.
La direttiva Europea n. 13 del 1993 ha condotto alla L. di attuazione n. 52 del 6.2.1996 che ha introdotto delle modifiche al codice civile a tutela del consumatore. Tra queste modiche ci sono gli artt. 1469 bis c.c. che al n. 19 stabilisce: “si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto o per effetto di: stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore”, e 1649 quinques “le clausole considerate come vessatorie ai sensi dell’art 1469 bis e 1469 ter sono inefficaci mentre il contratto rimane valido”.
Dopo vari tentennameni e diverse interpretazioni della giurisprudenza è intervenuta la Corte di cassazione a sez. unite (1 ottobre 2003 n. 14669) che ha stabilito che “La disposizione dettata dall’art. 1469 bis, terzo comma, n. 19 c.c. si interpreta nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista (impresa) abbia stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo della sede o del domicilio elettivo del consumatore, presumendo vessatoria la clausola che individui come sede del foro competente una diversa località”
Tutto ciò comporta che qualora si sottoscrivesse un contratto con una clausola che riserva il foro esclusivo diverso dalla località di residenza del consumatore sottoscrittore, questi ha due possibilità: chiedere giudizialmente la dichiarazione di inefficacia con richiesta di riconoscimento del foro esclusivo relativo alla zona di residenza e condanna alle spese di giudizio (sarebbe meglio anticipare questa azione con una richiesta a mezzo racc. a.r.), oppure attendere che sorga la necessità di ricorrere al Tribunale per contestare quello scelto da controparte o individuare quello di competenza a seconda che chi inizi per primo il procedimento giudiziario sia l’impresa o il consumatore.
Vacanza deludente e risarcimento
Da NERO SU BIANCO 19/2006
Cose da… TRIBUNALI!
Potrebbe capitare anche a noi…
… che la vacanza non risulti come promessa.
Siamo ormai definitivamente tornati dalle vacanze dell’estate appena trascorsa e facciamo i bilanci su come è andata. I più fortunati stanno raccontando agli amici dei posti da favola che hanno visitato e di come è stato piacevole il soggiorno magari vivendo la nota pubblicità di un tur operator che rappresenta i turisti in depressione profonda per essere di nuovo nella quotidianità.
Altri però, cercano di dimenticare la vacanza incubo nella quale si sono trovati a causa dei disagi vissuti. A costoro illustriamo gli orientamenti della giurisprudenza per la tutela da “vacanza rovinata”.
Il nostro ordinamento ha recepito la direttiva n. 90/314/CEE dandogli attuazione col D.Lgs. 17.03.1995 n. 111 dove all’art. 14 si dice “In caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico l’organizzatore ed il venditore sono tenuti al risarcimento del danno, secondo le rispettive responsabilità, se non provano che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a loro non imputabile. L’organizzatore o il venditore che si avvale di altri prestatori di servizi è comunque tenuto a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti.” ed all’art. 19: “Il consumatore può altresì sporgere reclamo mediante l’invio di una raccomandata, con avviso di ricevimento, all’organizzatore o al venditore, entro e non oltre 10 giorni lavorativi dalla data di rientro dalla località di partenza”. Dall’inadempimento contrattuale deriva la risarcibilità del danno patrimoniale (per essere stati collocati presso un hotel di categoria inferiore per le mancate escursioni promesse, per intossicazione alimentare da cibo ecc.) e del danno non patrimoniale. Quest’ultima figura va sotto il nome di “danno da vacanza rovinata”. È ormai acclarato che la vacanza è parificabile ad un bene rilevante ai fini della qualità della vita e sono dunque giustificate e tutelate le aspirazioni ad un corretto adempimento di quanto promesso in quanto una cattiva vacanza genera più danni di una mancata vacanza. La giurisprudenza con la Corte di Giustizia Europea in testa (30.04.02 n. 44/C; 12.03.02 n. 168/C) seguita da vari Tribunali (Roma 09.02.04 n. 4217; Roma 19.05.03 n. 18613 ed altri) ha accolto la figura del danno non patrimoniale che consiste in disagi e patimenti psicologici che ledono la qualità della vita. L’aspetto più spinoso, come al solito, nelle richieste di risarcimento del danno è la prova del danno subito. Se del danno patrimoniale se ne può dar presto conto con l’esibizione di documenti che dimostrano lo scarto delle prestazioni ricevute su quelle promesse, cioè i servizi pagati e non goduti e le spese impreviste sostenute, per il danno non patrimoniale (da vacanza rovinata) la cosa si complica un po’ infatti questo non coincide con la mera lesione dell’interesse protetto (cioè risarcibile per il fatto stesso che accade) essendo necessaria la prova (anche per presunzioni) delle conseguenze dannose subite per l’inadempimento del venditore o del tour operator.
Lucciole e contravvenzioni
Da NERO SU BIANCO 17/2006
Cose da… TRIBUNALI!
Potrebbe capitare anche a noi…
… forse no… di riaccompagnare una “signora” al suo “posto di lavoro” e…
Lasciamo gli argomenti impegnativi del diritto di famiglia che ci ha accompagnato per gli ultimi due numeri per dedicarci a cose “più frivole” e singolari che, più che capitarci di vivere, ci può capitare di sentire.
Un signore di Teramo veniva assolto dal Gup di quel tribunale con formula “il fatto non sussiste” avverso i reati di atti osceni e favoreggiamento alla prostituzione per essersi congiunto carnalmente con una prostituta all’interno della sua autovettura ed averla poi riaccompagnata sulla strada dove l’aveva “incontrata”. Il PM ricorre avverso la sentenza ritenendo che aver riaccompagnato la prostituta sul luogo del meretricio costituisca reato di favoreggiamento ed induzione alla prostituzione. A seguito di ciò, con sent. della III sez. penale della Cassazione, n. 44918/04, la suprema corte precisa: “Non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione la condotta del cliente della prostituta che, prelevata la stessa dalla pubblica via e consumato il rapporto sessuale, la riaccompagni nello stesso luogo ove con la propria auto l’aveva prelevata; e ciò perché il semplice riaccompagnamento della donna non è un comportamento dotato di autonoma rilevanza ai fini penali, ma si pone piuttosto come un elemento accessorio rispetto al rapporto penalmente lecito di meretricio”. Infatti affinché si possa realizzare il reato di favoreggiamento è necessario che chi lo compie si trovi in posizione di terzietà nei confronti dei soggetti necessari (prostituta e cliente), insomma che non sia un “utilizzatore” e svolga attività di intermediazione mirata a che si compia la prestazione sessuale remunerata. Dunque riaccompagnare la signora dopo la consumazione affinché riprenda prontamente il lavoro è un atto di gentile civiltà non un favoreggiamento. Della stessa opinione è la Cassazione (con giurisprudenza consolidata, es. n. 4996/84 e 6400/91) riguardo all’esclusione del favoreggiamento alla prostituzione in capo a chi loca un appartamento ad una prostituta per motivi di abitazione personale, certo altro sarebbe se nel contratto fosse menzionato che l’uso sarebbe per l’attività di meretricio.
Già con la sentenza n. 16536/01 la Cassazione fu chiamata a dire la sua in ordine di favoreggiamento quando nel 2000 a Perugia la procura intraprese una vera e propria “opera di dissuasione” della prostituzione sequestrando le auto dei clienti in quanto “corpo del reato del favoreggiamento alla prostituzione”. Certo, a ritenere fondata questa tesi si creerebbe una ovvia differenziazione e dunque una discriminazione tra il cliente che “offre” l’auto per la realizzazione della prestazione e quello che invece va a “consumare a piedi”!
In conclusione per i giudici di legittimità è chiaro che utilizzare l’auto e/o riaccompagnare “la signora” dove la si è presa non integra gli estremi di reato ma “estremi” di civiltà!
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